mercoledì 21 giugno 2017

VAL GRANDE SGOBBATA




SABATO 17 GIUGNO


Devo dire che qualche volta mi lascio stupire dal mio ragazzo, in genere mi fido di più di un seme di girasole che di Luca, perché la sua maturità è pari ad una cicala in calore, ma stavolta scelgo di dargli credito.
Sono giorni, infatti, che è intenzionato a portami in Val Grande, dove, a parer suo, saremmo più vicini alla riproduzione terrena dell'Eden, altro che montagnetta piena di statue di legno del cazzo (questa la sua opinione sul mio concetto di bellezza).

Bene, mi lascio impressionare dunque dalla sua apparente conoscenza in materia e dalla sua esaltazione conturbante, quasi coinvolgente.
Il piano è salire fino in cima al monte  Premosello partendo da Colloro, per passare la notte al bivacco, che rappresenta la porta occidentale della Val Grande, per poi salire fino al pizzo Proman, ammirare tutta la valle con tanto di monte Rosa e Bianco che ci circondano, infine scendere il giorno seguente.
Non ancora convinta di affidare la mia fiducia alla bestia Luca, cerco su Internet qualsiasi notizia che possa indurmi in modo definitivo a rifiutare, ma non riscontro grandi difficoltà da chi ha percorso quel sentiero. Il tempo medio calcolato si aggira dalle tre alle cinque ore, e avvisano che l'ultima salita ci taglierà le gambe, ma noi abbiamo due giorni: possiamo prendercela con molta calma. Beh, allora andiamo!

Luca si presenta puntale nella sua puntualità di ritardo, quaranta minuti dopo.
Nonostante sia sveglio da pochissimo, inizia già a grondare da ogni poro corporale, gocce di sudore e brufoli mi stanno tentando nel tirar fuori un pennarello e giocare ad "unisci i puntini", ma sono stanca ancor prima di partire.
Benzina, colazione, navigatore. Iter che ci fa perdere altro tempo, ma in fondo chi se ne frega, abbiamo tutto il giorno.
A più o meno venti chilometri in autostrada, sbagliamo uscita per colpa delle mia difficoltà tecnologica con Maps, ma tanto chi se ne frega: abbiamo tutto il giorno, no?
Questa frase diventa la nostra filosofia per questa giornata, abbiamo tutto il giorno per percorrere tre ore di sentiero.
Giunti in Piemonte, Luca emette urla e versi degni di un cinghiale dislessico, si sente realizzato e iper felice di aver raggiunto la sua "padrepatria", dove ha vissuto fino alla tenera età di dieci anni.
Arrivati a Colloro, parcheggiamo l' inarrestabile C number 1 vicino alla chiesa del paese, e ci carichiamo le spalle con i nostri poderosi zaini stipati di viveri, acqua e un sacco a pelo.
"Ma si, tanto al bivacco ci sono i materassi.. lasciamo tutto in macchina.. è peso inutile", così ha inizio la lunga serie di stronzate che Luca non smetterà di sparare durante questa afosa giornata di giugno.


Dopo circa settanta centimetri sono stanca, non so se le mie spalle reggeranno il peso dello zaino, e non so se questo fottuto caldo mi abbrustolirá, spero che almeno faccia evaporare la parte del piccolo cervello di Luca, quella rimasta ancora ai suoi tre anni di vita, praticamente tutta tranne il bulbo olfattivo, almeno quello è a pari passo con la sua età anagrafica.
Comunque.
Inizio già a lamentarmi, Luca inizia a non sopportarmi.. concordiamo attraverso uno sguardo complice, la prima pausa.. tanto abbiamo tutto il giorno, giusto?
Niente pausa sigaretta pero', ultimamente Luca ha notato che se non fumo reggo meglio la camminata, anche se sinceramente io non ho notato proprio un fico secco di cambiamento. Lo accontento solo perché altrimenti inizierebbe a parlare da saggio medico vissuto, quale non è mai stato a causa delle numerose colazioni a base di litri di birra.. e specifico solo questo come insignificante esempio della sua dieta salutare e del suo stile di vita sano.
Percorriamo una strada asfaltata in salita, dove a meno di metà troviamo una diga bella tanto quanto una visita proctologica.
Ma non mi faccio abbattere né ingannare dall'inizio di questo "tanto abbiamo tutto il giorno".
Peregrinando per una buona oretta, incontriamo il cartello per la madonna del Lut, il primo dei tre alpeggi che precorrono la nostra meta, e da lì diciamo addio all'asfalto per prendere confidenza con la vera salita che ci distruggerà: una mulattiera ripida.
Il mio disprezzo verso le strade per i muli è direttamente proporzionale all'ascesa di acido lattico nelle mie gambe, al completo disordine delle ghiandole sudoripare di Luca che sono in tilt e vanno in sovraproduzione e all'aumento del calore che batte deciso sulla mia spalla destra.
Arriviamo al giardino della madonna del Lut, che precede il piccolo villaggio.
Una graziosa chiesetta di montagna ci dà il benvenuto e un'atmosfera quasi divina ci accoglie dolcemente.
Una pausa è d'obbligo, "tanto abbiamo tutto il giorno".
Questo giardino è paradisiaco e la pace che ci avvolge sembra quasi surreale, Luca decide di interroperla dando il meglio di se stesso per provare a far fuoriuscire gas corporali da entrambi gli orifizi, sia facciale che intimo, in contemporanea. Sembra un idillico poeta del romanticismo, con un tocco di malinconia e tanta, ma tanta pena.
Lo afferro per i basettoni e lo trascino verso il sentiero contornato da una natura sprigionante di mille colori, che prosegue pianeggiante e silenzioso.








Avanzando lentamente verso la morte, Luca vede un cervo e prima che il mio scatto lo raggiunga, questo scappa alla velocità della luce. Un vero peccato, avrei proprio voluto vederne uno, ma continuiamo a sentire il suo verso molto bizzarro, assomiglia a quello della mia macchina quando inserisco la seconda e non la quarta, mentre sono in quinta. Il verso di un cornuto cervo innamorato si dissolve in questa natura selvaggia e incontaminata.

Il prossimo alpeggio, l'alpe Piana, si trova a circa un'oretta e mezza da qui. Arriviamo stravolti, un signor caldo e il sentiero sempre più pendente, fanno si che il nostro pensiero sia rivolto al cibo, in particolare al riso freddo condito di ogni condimento immaginabile che porto alle spalle da circa tre ore. Sì, tre ore. Il tempo previsto per arrivare al traguardo, ma non siamo nemmeno ad un sesto del tragitto. Cazzo cene, abbiamo tutto il giorno.
Arrivati all'alpe Piana, ci svacchiamo tra due case, negli unici venti centimetri quadrati di ombra.
Queste minute casette bianche in pietra sono molto graziose e fiabesche, il circondario montagnoso le rende ancor più incredibili e pazzesco il paesaggio.
È giunto il momento del riso freddo, sento i nostri stomaci che intonano i Black Sabbath quando la radio non trova il segnale. Qualcosa però, è andato storto. Uno dei ventisette ingredienti usati per condire il riso si è sciolto, formando una pozza di strane composizioni vegetali o animali. L'odore è aspro, e anche un tale appetito è costretto ad arrendersi. Ci accontentiamo dei saikebon cucinati sul nostro storico fornello immortale.






Ripartiamo alla volta della retta via, Luca suda ogni spaghetto dei saikebon e io sudo l'amore nei suoi confronti mentre lo osservo che evapora e non tornerà mai più.
Raggiungiamo l'ultimo alpeggio, Alpe Motta: un leggiadro e piacevole paesino di montagna perfetto per qualche scatto a cazzo, tanto qualsiasi inquadratura rende la foto spettacolare. Non rifiutiamo il richiamo di un'ennesima pausa che ci chiedono le nostre gambe.
Ci facciamo abbandonare da questa nuova realtà, accarezzati da un timido filo di vento che migliora questa indefinita tregua.
Luca si ricarica con sette litri di acqua da una fontanella, che solo dopo scopriamo essere l'abbeveratoio delle vacche.







Riacquistiamo le poche energie rimaste per portare avanti la nostra impresa. Durante il percorso vi sono piccole celebrazioni ai partigiani morti durante la guerra poiché questa zona era uno dei fulcri bellici durante la seconda guerra mondiale. Secondo me sono morti per la fatica della montagna, però questa è un'altra interpretazione.
Superiamo due o tre torrenti, vorremmo pucciare qualsiasi parte del corpo ma ci rendiamo conto che sono passate cinque ore, il che inizia a diventare piuttosto ridicolo. La fatica è accompagnata da mosche di merda che trovano i nostri nasi molto interessanti, ma anche da stupende farfalle ed insetti colorati.
Anche i fiori non sono da meno, questo mi costringe a doverli immortalare ad ogni passo.
Ci rendiamo conto che il sentiero più facile è agli sgoccioli e tra qualche metro ci inchineremo al cospetto della famosa salita spaccagambe, nel vero senso del termine.
C'è un uomo strano che si sta abbeverando e sta congiungendo, anch'egli, le ultime forze a lui rimaste. Lo salutiamo facendo i fighetti e mostrandoci più allenati, credo che Luca abbia anche mollato una scoreggia mentre lo sconosciuto era intento a tirar fuori il proprio passaporto e una serie di documenti falsi. I suoi tratti da slavo, ci fanno credere che potrebbe trattarsi di Igor, il latitante più ricercato in Italia.
Ci caghiamo un po' addosso devo dire, anche se l'adrenalina non contribuisce per un cazzo a migliorare la nostra performance in salita. La milza batte sulla parete interna del ventre, le gambe stanno svanendo pian piano. Pausa.
Igor ci sta raggiungendo, ma non ce ne frega un cazzo, anzi può anche ucciderci per porre fine alla nostra sofferenza.
Sembra un treno a vapore del primo dopoguerra, e Luca pensa bene di ridergli in faccia: è convinto di aver incontrato la prima persona al mondo più ridicola di noi in montagna. Sicuro di quest'idea, decide che possiamo ripartire in ogni momento, tanto abbiamo tutto il giorno. Vuole superare ancora Igor, per scoreggiargli addosso e fargli capire chi è il guru della Val Grande.







Gambe in spalla: vogliamo decollare. Il cazzo, invece. Stiamo per esplodere come la confezione dei flauti della mulino bianco. Il sentiero diventa sempre più severo e ripido, riusciamo a scorgere il bivacco sulla sella della montagna, ma ad ogni passo sembra allontanarsi. Siamo esausti, non ce la facciamo veramente più.
Ci fermiamo ancora, se andiamo avanti probabilmente ci si svitano le rotule.
Anche Igor ha scelto di fermarsi proprio lì, beh c'è una fontanella con dell'acqua gelata, quindi è una sosta obbligatoria.
E mentre appoggiamo le chiappe a terra, il cecoslovacco riparte, carico di chili di speranza.


Lo osserviamo per capire cosa ci aspetta, e pian piano vediamo che raggiunge la vetta in mezz'ora. Beh se il vaccone serbo ci ha messo mezz'ora, noi ci impiegheremo almeno venti minuti.
Sì, la minchia. Abbiamo fatto almeno sette pause, dietro l'ombra di tre foglie visto che era tutto esposto al sole tropicale. Il sentiero diventava sempre più stretto e pericoloso, un passo sbagliato e saremmo rotolati giusto al cimitero della valle. Morti. L'ansia prendeva il sopravvento e lottava con la sfinitezza. L'ultimo che abbiamo considerato peggiore di noi, è venti spanne avanti.


Ma adesso ci troviamo sulla cresta e l'emozione è a dir poco sovrumana.
La sensazione di aver sgobbato come muli è tanta quanto lo spettacolo che ci accoglie: a destra vediamo in lontananza le città e le strade, mentre dall'altro lato il panorama contrasta totalmente quello urbanistico: boschi selvaggi e fitti nascondo un mistero intrigante, avvolto da cime innevate e valli fiorite.
Questo sentimento intenso svanisce immediatamente, quando scopriamo che oltre Igor, ci sono una decina di stronzi che, logicamente, avrebbe dormito al bivacco. La scoperta che più mi fa incazzare è che sono tutti tedeschi. Impreco e invoco gentilmente qualche santo, ma porca puttana, ma anche qui i deuschte??
Apro e chiudo velocemente una parentesi con una considerazione personale: guadagnano sette volte il resto degli europei, ma sono sempre dappertutto in vacanza.. che poi va bene girare, ma proprio al bivacco a Premosello? Inizio ad insultarli ad alta voce, mentre Luca si sente in famiglia, in mezzo ai tedeschi in Piemonte!
Notiamo che tra loro si nasconde mogio mogio Igor, eccolo mentre non prova sentimenti e si esercita ad essere più freddo del ghiaccio, come solo uno slavo può permettersi.
L'idea di dormire vicino a lui mi spaventa, ma nemmeno il tempo di concretizzarla e vediamo che si allontana verso la boscaglia selvaggia, dove anche il Signore si dimentica di vegliare.
Col suo maxi zaino sparisce nella nebbia tenebrosa, in cerca di cinghiali da allevare. Chissà se lo rivredemo mai..
Come se non bastasse, il fato ci sputa in faccia e scopriamo che al piano superiore del bivacco, non solo i tedeschi hanno occupato tutti i posti, ma che non esistono materassi né coperte. Bella merda, ci tocca dormire fuori o al piano terra, sulle pietre.
I tedeschi hanno occupato anche il tavolo e la stufa, stanno cucinando un cus cus che sembra vomito di ippopotamo.
Sfoggiamo il fornelletto per preparare un po' di pasta al pesto, e nel mentre i tedeschi ci prendono per il culo, "spaghetti eh? Ahah", ma che cazzo ridete? Inizio a scaldarmi, quasi quasi li butto tutti nel burrone o me li mangio a cena, ma sono troppo stanca.
Mentre mangio, sto per addormentarmi ma reggo a causa del vento che soffia pungente sul viso. Ho freddo in faccia, quindi rientro nel bivacco. Un tedesco mi informa che la maggior parte di loro avrebbe dormito fuori e che c'erano giusto due posti. Non poteva annunciarmi notizia migliore, salgo immediatamente e noto anche che qualche alpinista ha dimenticato coperte e sacchi a pelo. Prendo tutto ciò che mi è necessario, e una sopra l'altra, uso le coperte per creare qualcosa di sopportabile alla nostra schiena.
La stanchezza implora riposo e ci supplica di non provare minimamente a salire sul pizzo Proman domani mattina, come da previsione.









Ci corichiamo molto presto, consapevoli del fatto che ci saremmo persi una stellata bomba, ma siamo esauriti. Dobbiamo anche dormire sul parquet, difesi solo da tre coperte. 
Alle nove e mezza siamo tutti sdraiati, siamo in otto quindi prevedo ogni sfumatura di puzza esistente.
Ma mai avrei previsto una tale orchestra di gente che russa così prepotentemente, il master è ovviamente Luca che sembra una lavatrice che lava chiodi.
Durante la nottata tira calci in faccia al deutsche che sta dormendo vicino a lui, ma al contrario. La goduria nel sapere che ha dovuto annusare i piedi di Luca dopo nove ore di camminata è la mia vendetta personale. Ogni tanto apro gli occhi e mi ritrovo l'altro tedesco barbuto che dorme vicino a me in posizione da morto, con le mani sul torace. Che ansia.
Sento la mia schiena irrigidirsi, sono convinta che non riuscirò mai più a piegarmi.

DOMENICA 18 GIUGNO

Ci svegliamo molto presto, poco dopo l'alba e il nostro allarme sono i campanelli delle pecore che pascolano nelle valli pendenti attorno al bivacco.
Non riusciamo a capacitarci della loro straordinaria capacità nel muoversi in ogni angolazione nonostante la pendenza esagerata.
I tedeschi sconvolti che hanno dormito fuori, insieme a quello che ha passato la notte vicino a Luca, che probabilmente non ha chiuso occhio, sono già pronti per ripartire, e se ne vanno mentre gli danno il cambio le pecore che si avvicinano senza paura.
Sono veramente tante e assomigliano tutte a Luca.








Facciamo colazione con la pasta al pesto avanzata, mentre veniamo palesemente presi per il culo dai germanici. Stavolta hanno ragione, pero': la pasta al pesto a colazione fa cagare.

Ci prepariamo e li salutiamo con un'aria schifata e arrogante, come fossimo due esperti montanari che sarebbero arrivati molto prima.
Iniziamo la very heavy discesa, io mi sto pisciando addosso dalla paura, temo di cadere da un momento all'altro vista la pericolosità della pendenza e dato che non posso contare su niente per aggrapparmi, se non a tre fili d'erba secca, immagino già ipotetiche situazioni di morte, come sarei morta?

Non percorriamo nemmeno quindici metri che gli ariani ci superano, salutandoci con la medesima aria di sfida che abbiamo usato poco fa per minacciarli.
Che figura di merda. Li vediamo che scattano come lepri e svaniscono come fantasmi, divenendo sempre più piccoli, finché li perdiamo di vista, il tutto mentre  riusciamo a proseguire di solo tre metri e mezzo.


Siamo fiduciosi, in realtà, di poter arrivare alla macchina in poco tempo, poiché al seguito del sentiero stretto, scoperto e ripido le condizioni sarebbero state più vantaggiose ed umane.

Come non detto. Il mio ginocchio destro sembra stia per lacerarsi, i miei legamenti si stanno strappando e piegare la gamba diventa una coltellata.
Non ho mai avuto problemi simili, ma questo è preoccupante.
Afferro un bastone che trovo casualmente, e arranco con quello. Stiamo andando avanti a passo di lumaca, ma il dolore non mi premette di velocizzare.

Ripercorriamo tutto il tragitto dell'andata, con la paura di impiegarci ancora un tempo illimitato, a causa del mio handicap.
Ma nonostante ciò, sono bastate solo tre ore e mezza per inaugurare un'ennesima fatica eroica insieme. Non abbiamo infilzato nessuna bandiera in cima al monte, ma abbiamo lasciato le nostre tracce che il vento ha portato via e che dissolverà nella nostra memoria.
La fatica, il sudore e la puzza sono state ripagate da emozioni fenomenali, che solo chi ha provato puo' capire.

Continueremo le nostre scalate, nonostante facciamo cagare, perché più in alto si sale e più ci si rende conto che chi ha creato la Natura dimostra di essere stato capace di scolpire meglio di Michelangelo.