martedì 17 gennaio 2017

Giornata del cAx






15 GENNAIO 2017


Non ricordo di aver mai visto un intero lago ghiacciato e, appena saputo che ce n'è uno qui vicino, ho pregato Luca di portarmici. Erano giorni che, impaziente, aspettavo domenica. Proprio mentre Luca viene a prendermi, la mattina di domenica 15, Ax ci chiede se possiamo aiutarlo per un progetto universitario. Ha bisogno di fare delle riprese e, dato che la consegna è prevista tra due giorni, decidiamo di aiutarlo, d'altronde aiutare quelli diversi può sempre tornar utile nel circolo del karma. La mia felicità si scioglie dolorosa, come spero non faccia il ghiaccio del lago settimana prossima perché, abbandonata dall'esaltazione, resto sola con la promessa Axaiana che ci saremmo andati la domenica successiva tutti insieme.
Mangiamo e andiamo a prendere Vero, non prima di aver giocato tre schedine e aver vinto venti euro, spendendone quindici. Mentre aspettiamo Ax, sentiamo dei respiri simili a quelli di suini da stalla e passi che rimbombano nella solenne piazza farese, avvicinarsi a noi: è arrivato l'artista! Ax è ammalato, perde solo tre gocce dal naso e ha due linee di temperatura corporea in più rispetto a persone normali, ma si presenta come se avesse contratto il tetano e allo stesso tempo fosse portatore sano di talassemia. Sta per porre fine alla sua esistenza, quando, con un ultimo timido filo di voce ci rivela che le riprese sono per un parziale, non per un esame, non per una tesi, non per l'Oscar... PER UN PARZIALE! Il rimorso per l'aver scelto di aiutarlo e non essere andati al lago mi pulsa nelle vene, cerco solo di sperare che domenica il lago sia ancora ghiacciato, altrimenti gli avrei attaccato una ruota davanti e una dietro e l'avrei usato per consegnare le pizze.

Il luogo prescelto è il linificio di Fara, abbandonato da non molte decine d'anni. Arrivati al cancello, la spiacevole sorpresa nel notare che è chiuso, ci fa perdere ogni fiducia. Dopo aver cercato altre entrate, ci muniamo di coraggio e decidiamo di scavalcare. I primi 37 tentativi dell'atleta olimpionico Ax lo portano allo sfinimento, mentre Luca ripete che quando era più giovane gli era facile, non a caso veniva chiamato Leprollo. Ora però temiamo un suo infarto nel vedere che, nonostante non arrivi in cima al cancello, la sua tenacia non lo abbandona mai.
Ci prova Vero, ma lei è delicata come una piuma, potremmo soffiarle addosso in tre e farla volare dall'altra parte, infatti riesce ad arrivare al vertice.
Luca inizia ad insistere che devo provarci anche io, ma ci sono tre motivi per cui non ne ho la minima intenzione: uno, i miei tanti chili presi durante le vacanze che mi hanno portata alla soglia dell'obesità; due, l'ansia perenne che succhia la mia quotidianità; tre, guardo Ax e mi viene da piangere.
Luca insiste così tanto che per farlo stare zitto ci provo e, con stupore, arrivo subito alla sommità, ma un sentimento di ipotetica disgrazia pervade la mia mente e un momento di panico fa si che io non riesca più a dare comandi al mio corpo.
Presa dall'angoscia, scendo, non so come, ma scendo ottimista: possiamo farcela. Il primo a valicare è il regista, che deve riprendere le nostre facce da cazzo intente ad arrossarsi mentre compiamo sforzi fisici estremi.
La seconda è Vero, che soave non accenna al minimo rumore: perfino gli uccellini iniziano a cantare durante la sua scavalcata, e con un delicato passo di danza classica, ha già raggiunto Ax, che nel frattempo ha evaporato tutte le malattie che fino ad allora gli facevano da sanguisuga.
Arriviamo anche Luca ed io, e subito esploriamo il linificio abbandonato.

Vogliamo dare spazio al progetto di Ax senza le solite foto del cazzo fatte da Luca. Vi mostreremo il suo video sulla nostra irruzione nella fabbrica di Fara Gera d'Adda (Bg), quindi la narrativa sarà esclusa per questo racconto, dunque stavolta Volodia dà spazio a cose diverse!
Una presentazione biografica ed artistica del maestro è necessaria prima di mostrarvi il suo mondo.

Alessandro Conti, nato nel lontano 1988 a Milano, è un artista moderno geniale incompreso anche da se stesso. Detto "Ax" dagli amici, "piccolo cucciolo di tenero coniglio morbido" dalla sua amata e "VIENIQUICHETIAMMAZZO" dai suoi genitori, si è diplomato un pò al liceo artistico e un pò all'agraria; si iscrive all'Accademia delle belle arti di Brera alla tenera età di 28 anni. Affermato scrittore, pittore, progettista, musicista, archeologo, sceneggiatore, poeta ecc ecc ecc, non riesce a capire se è un da Vinci del 2000, cioè eccellente in ogni ambito, o se fa cagare in tutto e prova e riprova che qualcosa in cui è bravo ci sarà!
Fondatore della nota tribù farese dei sodi, questo artista a tutto tondo passa la sua giovinezza a ritmo di Babaman e vive la vita un quarto di canna alla volta e litri di Bestbrau che gli fanno da onnipresente flebo.
La sua infanzia termina a 27 anni quando si innamora della bellissima Vero, e insieme progettano geniali idee artistiche. Oltre a Vero, il suo amore rimane l'arte: dedica ad essa tutta la sua passione e le sue energie e, finalmente riesce a trovare un'idea per sfondare alla fine del 2015. Le dreambox sono la sua firma da esteta post moderno. Il successo, agli inizi del 2016, trionfa in America, in particolare nel Texas, dove noti collezionisti scappati al TSO, commissionano ad Ax opere impressionanti.
Proprietario di pagine Facebook a caso e siti che nemmeno lui ricorda, ricordiamo Ax per le sue imprese eroiche, come lo storico inseguimento della polizia che è riuscita a catturarlo dopo un metro e mezzo di corsa o le sue abitudini natalizie: potrete, infatti trovarlo la notte della Vigilia nei boschi dell'Adda che dorme. Attualmente residente a Fara Gera Bamba, passa le sue serate nel noto locale Autharit, sede del CRFF da lui gestito, in collaborazione di altra gente mentalmente instabile.
Non ancora deceduto, ci lascerà a breve perché spera che almeno dopo la morte qualcuno possa apprezzare le sue idee creative, anche se l'età per morire da rockstar è superata da un anno per puntare al successo post mortem, quindi se ne andrà seppellito in una comune fossa comune.

Una biografia evidentemente ironica che però non vi concede la realtà, qui sotto le sue pagine Facebook per conoscere Ax!

Qui le dreambox, dove potrete ordinare la vostra!

Qui le opere create con Vero



Qui il video della giornata





Per una qualità migliore, cliccare QUI

mercoledì 4 gennaio 2017

Capodanno in Colmar etilico







Abbiamo deciso di concludere l’anno appena passato e dare inizio a quello nuovo a Colmar, in Alsazia.


Date: dal 29 Dicembre 2016 al 2 Gennaio 2017
Partecipanti: Luca e Clara
Mezzo di trasporto: C1 warrior
Equipaggiamento: vestiti pesanti


Finalmente ho scelto io la destinazione e, come al solito, ogni mia decisione ha ripercussioni importanti sulle condizioni psicofisiche di Luca.
Il suo sistema nervoso vibra quando sostengo che vorrei andare a Colmar perché i suoi mercatini sono terzi nella classifica europea dei mercatini di Natale più belli (prima Zagabria, seconda Strasburgo).
Consapevole delle mie ragioni infantili e allo stesso tempo cosciente di avere quasi 23 anni, insisto in modo vergognoso e Luca è costretto ad accontentarmi, altrimenti l’avrebbe fatto con maniere poco aristocratiche, vale a dire subendo torture cinesi fatali.
Entrambi molto felici e convinti della scelta, diamo il via a ricerche per un pernottamento. La verità è che ho organizzato tutto io, Luca si è solo limitato alla partecipazione.
E’ ancora settembre e l’hotel più economico e più vicino al centro sembra essere Hotel P’tit Dejuner Colbert (245 euro in due per quattro notti).
Prenoto subito, mi sembra perfetto soprattutto per la sua posizione, dato che non volevo patire come lo scorso anno. (Il capodanno passato siamo stati Lubiana, ma abbiamo affittato una casa a dieci chilometri dal centro e la maggior parte delle volte abbiamo dovuto farcela a piedi perché Luca adora camminare. Ho già provveduto a prenderlo a calci dopo essermi curata le vesciche ai piedi).
Nessuno dei due si è informato sul paese né tantomeno su cosa avremmo potuto fare l’ultimo dell’anno, l’intenzione è solo quella di divertirsi e bere, dunque chissene frega, una volta arrivati prenderemo decisioni casuali.
Luca informa i colleghi del suo viaggio e in Same partono scommesse clandestine: sarebbe riuscito ad oltrepassare la dogana svizzera con la C1 rossa fatta di cartone con un faro distrutto e con quella sua faccia da tossico?

29 DICEMBRE

Questo è il dilemma che ci divora la mente il giorno della partenza, stabilita per le sette e mezza del mattino il 29 Dicembre.


Un altro considerevole grattacapo ci ossessiona da qualche giorno: le catene da neve. Luca detiene un paio di catene dal lontano 1200 probabilmente, forse sono le catene che ha utilizzato l’uomo che ha inventato la prima ruota, ormai sono color marrone scaduto, mentre mio papà ci presta delle catene adatte per un trattore più che per una macchina; se avessimo avuto quelle giuste non avremmo saputo comunque montarle, quindi le probabilità che un agente della dogana svizzera ci avesse fatto passare diminuivano sempre più.
Come sempre gli incastri stradali per evitare la Bre.Be.Mi sono necessari, e ad ogni chilometro sale l’ansia. Luca è agitato, continua a ripetere che l’autorità e la serietà degli svizzeri ci sputeranno in faccia, ha paura di incontrare lo stesso poliziotto che qualche anno fa gli chiese se avesse i topi in casa a causa della sua carta d’identità sbriciolata, non riesce a contenere l’ansia tanto che inizia a scoreggiare.


Arrivati alla dogana ci fermiamo a prendere il bollino di 40 euro, generosamente obbligati a donarli allo stato svizzero.
Saliamo in macchina e Luca si pettina sistemandosi i capelli con le mani unte e sporche di salame piccante, che ha mangiato alle otto e mezza del mattino. Gli agenti svizzeri fanno passare tutte le macchine che ci precedono e non ci rimane che sperare che facciano lo stesso con noi.. e proprio mentre ci appelliamo a divinità fino ad allora sconosciute, un armadio di donna svizzera ci fa cenno di accendere i fari e passare, ma non sa che ne funziona solo uno e mai lo saprà perché ce ne andiamo veloci perdendo tre chili di ansia.
Ci sentiamo sollevati, finalmente posso fumarmi una sigaretta ma Luca mi ferma immediatamente: non posso fumare, secondo lui, perché dovrei abbassare il finestrino nei tunnel e così facendo l’aria sarebbe stata invasa da CO2 che ci avrebbe soffocati. Non capisco e non mi sforzo nemmeno a capire, so solo che la vera CO2 che mi sta uccidendo è quella che proviene dal suo deretano ogni volta che solleva la chiappa destra, e l’odore prende quasi forma.



Arrivati all’uscita della Svizzera, vediamo che la polizia ferma una macchina ogni tot, si tratta solo di spremere le nostre capacità matematiche e calcolare quanto è quel tot. Ovviamente riusciamo a capirlo solo quando tocca a noi, ma la sorte vuole che fermino una macchina ogni dieci e noi siamo la nona.
Appena sorpassata la dogana Luca si sente un ribelle acab, inizia a fare cori contro la polizia e rime da adolescente alternativo, è tutto esaltato, ma se gli avessi fatto una foto ai pantaloni qualche
secondo prima di attraversare la dogana, non avrebbe avuto più amici.


Tra puzze inverosimili e sottofondi musicali basati sulla ripetizione di "segnale gps interrotto" da parte della voce di Google Maps, arriviamo a Colmar verso le due. Il problema, ora, è trovare l'hotel.
So che si trova vicino alla stazione dei treni, allora vado a chiedere a qualche passante.
Sono talmente fortunata che riesco ad incontrare solo turisti tedeschi che con un poetico suono tipico deutsche mi mandano a fanculo. E fin lì non ho bisogno di indicazioni, mi serve solo la gare.
Per fortuna una gentile vecchietta si offre di accompagnarci fin lì: dobbiamo seguirla in macchina, poi penso siano cazzi nostri, o almeno così ho capito tra tutti quei "Je" e "voilà".
Arrivati alla stazione salutiamo il nostro Virgilio e andiamo a caccia di aiuto.
Sembra la ricerca di testimoni ad una sparatoria a Napoli: nessuno sa niente.
Decidiamo, dunque di cercare da soli, anche perché Luca inizia a perdere la pazienza (durata per ben sette minuti) e proprio della via opposta troviamo il cartello "hotel Colbert". Esiste davvero!
Al contrario di quanto era indicato su Internet, è un hotel a due stelle. "Cazzo è? Un due stelle? Non erano quattro? Dove sono le altre due, le hanno usate per l'albero di Natale?", Luca si rivela mister umiltà fine 2016, altro che sodo da guerra.

Dopo aver fatto il check-in, entriamo in stanza e lanciamo le sacche dove capita.
Decidiamo di esplorare subito la città e dopo qualche minuto ci troviamo subito in centro.
Questa cittadina situata ai piedi dei Vosgi sembra essere ossessionatamente carica di decorazioni di Natale, ovunque, non esistono spazi non abbelliti e addobbi casuali: pupazzi di qualunque forma e colore sui davanzali delle finestre, giocattoli che penzolano dai balconi, bretzel giganti sparsi accidentalmente, forse, sui muri di queste incantevoli case a graticcio con intelaiature in legno collegate tra di loro in diverse posizioni, tipiche dell'Alsazia.
L'atmosfera è fiabesca, ma la gente, di varia nazionalità, è davvero eccessiva.
Sono tutti concentrati nei marchèe de Noel (ho sempre pensato che marchès de noel fosse la marcia di Natale, ma scopro solo adesso che sono i mercatini).
Le casette di legno sono davvero tante, ognuna vende cose diverse, da prodotti tipici ad astucci particolari, dalla street food a mutandone della nonna.








 La particolarità di Colmar è la Petite Venice, un quartiere attraversato da canali che sembra ricordare Venezia. Capisco subito che Luca odia i francesi e le loro usanze, inizia ad insultare la Petite Venice dicendo che è solo un'imitazione andata a male.
In realtà la Petite Venice è gradevole, e anche Luca inizia a scattare fotografie come se disponesse di una Canon professionale. Si mette in ogni angolo possibile, sale su grate insolite, si appende ai lampioni, si sdraia su merda di cane francese per riuscire ad inquadrare perfettamente il ponte più fotografato di Colmar.
Mentre provo pena per lui, do inizio a quella che sarebbe stata la mia firma da fotografa mancata: la panoramica, e ci divertiamo a fare gli idioti con fotografie ripetute, mentre i cinesi ci osservano disgustati. Avranno finalmente capito come ci si sente ad assistere a gente che ha la psicosi da fotografia?








C'è un mercato coperto vicino al ponte, ma non è molto grande. Prendo solo una fetta di tarte au fromage, fatta di ghiaccio e formaggio.

Decidiamo di tornare in hotel a riposare, e proprio mentre ci avviamo sentiamo dei passi avvicinarsi a noi. "Are you friends?", ci voltiamo lentamente e un ragazzo giovane sembra voler comunicarci qualcosa con un inglese degenerato. "Are you french?". "No, siamo italiani", risponde Luca.
"Ma allora vaffanculo". Luca ed io ci guardiamo, increduli e senza riuscire a comprendere quale talento intellettuale avesse pervaso la mente di questo giovane sconvolto. "No, perché cercavo della roba, ma siete italiani, cioè inutile. Dai, ciao, vaffanculo..".
Probabilmente l'aspetto elegante da uomo d'alta classe di Luca ha attirato quel ragazzo a chiederci dell'erba, ma fa sempre piacere avere scambi di pareri di alta filosofia con connazionali all'estero.

Mangiamo delle salsicce coi crauti e, tornati in hotel, riposiamo per la pazza serata che ci  attende.
Questo è quello che ci siamo proposti di fare, ma in realtà, arrivati in centro verso le nove di sera, notiamo che la cittadina è deserta. Non ci sono nemmeno fantasmi, i bar e i ristoranti sono chiusi, i negozi abbandonati, le strade completamente spopolate.
Siamo gli unici che gironzolano per Colmar e questo ci preoccupa: sarà così anche la sera di capodanno? 
Torniamo in hotel con questo scetticismo smisurato che ci offusca i pensieri.




30 DICEMBRE

Ci svegliamo presto perché oggi abbiamo deciso di andare a Strasburgo col treno, prima però corriamo a fare colazione in centro città.
Troviamo uno dei pochi bar ristoranti aperti dove ci accoglie un simpatico arabo che parla un francese ancora più effeminato di quel che già caratterizza questa lingua.
Non c'é ancora molta gente e i mercanti stanno aprendo le loro casette con molta calma; ci avviamo verso l'imponente stazione dei treni.










La tratta Colmar-Strasburgo ci impiega solo 30 minuti, dunque, dopo aver chiesto due biglietti, porgo una banconota da dieci euro all'addetto, aspetto che mi dia il resto e i biglietti, ma mi accorgo che è lui che sta aspettando me: devo dargli 25 euro!
Luca riparte con insulti ai francesi e inizia i paragoni con la sua etnia tedesca, considerata da lui la migliore mai esistita.
In effetti il prezzo è molto alto, confrontato a quello italiano, di conseguenza mi aspetto che ci servano dello champagne come minimo.

Giunti a Strasburgo, ci facciamo accogliere da una circostanza caotica tipica delle metropoli: gente che corre, negozi disseminati per la città, palazzi monumentali e mezzi di trasporto in ogni dove.
Ci rechiamo subito in centro e alle sue porte ammiriamo i ponti coperti, prerogativa strasburgica.
Luca tira fuori il telefono e fotografa perfino i portaombrelli dei ristoranti.
Il centro storico della capitale d'Alsazia è molto vivace per i suoi colori e le sue decorazioni, non mancano di certo le tipiche case alsaziane, ma a riceverci stavolta è una colossale cattedrale trecentesca: è veramente smisurata la cattedrale di Notre Dame, e soprattutto eccessivamente decorata: l'esasperazione dello stile gotico.
Le fanno da contorno strutture medievali e musei interessanti.















Bellissima, ma dopo un po' ci rompiamo le palle, tanto che Luca inizia a frignare. Vuole tornare in hotel a dormire, vuole mangiare, vuole bere, vuole vuole vuole.. Prendo la rincorsa e gli tiro un pugno per far si che si riprenda, ma niente da fare, è così di natura.

La nostra visita finisce qui, non prima pero' di aver mangiato degli involtini di primavera da un chino che ci saluta con un allegro BONSOILLL!

Prendiamo i biglietti, sempre all'umile prezzo di 25 euro, alle 18.58. Scopriamo solo venti secondi dopo che il treno per Colmar è alle 18.59.
Do il via a quella che puo' essere paragonata la velocità della luce umana, ma Luca di merda si ferma e mi dice: "Ma chiediamo a qualcuno qual è il binario 4". MA COSA VUOLE CHIEDERE? COM'E' FATTO IL NUMERO QUATTRO? Immaginate di trovarvi in una stazione con solo numeri di binari, messi anche in ordine, e vi travolge un deficiente che vi chiede quale sia il binario numero quattro. Ho a che fare con un uomo di quasi 29 anni che deve ancora attraversare la fase dello sviluppo psicosessuale Freudiano, stimata per i primi mesi di vita. E' un po' in ritardo insomma.
Mi avvicino, lo afferro con forza e gli prometto che dopo gli avrei disegnato il numero quattro, ora deve solo seguirmi.
Arriviamo giusto in tempo, con un fiatone mostruoso di gente scandalosamente sedentaria.

Usciti dalla gare, facciamo due calcoli: se fossimo andati in macchina avremmo speso la metà della metà della metà.. A proposito della macchina, ci sarà ancora? L'abbiamo parcheggiata ieri a qualche decina di metri dall'hotel ed è aperta, dato che il telecomando non funziona e se si prova a chiuderla con la chiave, quest'ultima non si sfilerà più. 
Ne approfittiamo anche per recuperare le scarpe da montagna, dato il grande freddo.

L'immortale guerriera C1 è ancora lì! Controlliamo per vedere se c'è ancora tutto, ma mancano la "I" e la "E" di "Citroen". Ma la macchinina rossa rossa non mollerà sicuramente, anche raggiunti i 100.000 chilometri, la maggior parte dei quali in meno di un anno.

Stasera vogliamo uscire e siamo sicuri che stavolta ci sarà più gente di ieri, d'altronde è venerdì!
Speranzosi ci prepariamo. Luca è turbato dal mio modo di vestire: soffro il freddo e decido di mettermi sei paia di calzini di lana (non scherzo), quattro paia di pantaloni e due maglioni. Ciò nonostante ho i piedi gelati e col naso rosso assumo le sembianze dell'omino Michelin versione pagliaccio.

Ci avviamo verso il centro storico e con grande sorpresa, intravediamo ben due persone!
Le uniche due oltre noi.. un mortorio! Sembra di essere nella guerra col coprifuoco alle otto di sera, la cosa curiosa è che Colmar è una delle poche città che non è mai stata bombardata.. forse perché non gliene fregava niente nemmeno ai nazisti.

Girovaghiamo ad minchiam per queste vie illuminate e molto graziose, finché non carpiamo da lontano delle voci confuse a musica da bar.
Come due cani affamati seguiamo questa scia uditiva. Eccola finalmente: una birreria aperta! Ci catapultiamo dentro, ma le dimensioni sembrano essere poco spaziose e ci sono solo due posti liberi: nostri! (i posti in tutti sono dieci, quindi contribuiamo al pienone del locale).
Il proprietario di Murphy's, con due baffetti simpatici, ci chiede cosa vogliamo e dopo aver concluso la nostra frizzante serata, gli preghiamo, come fossimo mendicanti, di regalarci il bicchiere usato per l'acqua. Annuisce e sorride, ma nel frattempo si intasca dieci euro di mojito, otto euro di birra e due euro per il bicchiere. Fa bene a ridere questo stronzetto.



Torniamo in hotel, stanchi e meravigliosamente speranzosi che domani Colmar si sarebbe riempita di gente.

31 DICEMBRE

Oggi andremo a Ribeauvillé (dove abitava un mio vecchio compagno di liceo, William che ci ha dato qualche dritta prima di partire, se avete bisogno di info per queste zone, si rende disponibile a qualsivoglia chiarimento william.foieni@gmail.com) e a Riquewihr (che ancor oggi non sappiamo pronunciare).

Luca mi obbliga a pubblicare le foto su facebook e mi strilla come una ragazzina di taggarlo. Vorrei annodargli le corde vocali, ma sono troppo curiosa di vedere dove abitava William e di scoprire Riquewihr.
Partiamo abbastanza presto, non prima pero' di far colazione dall'arabo francese gay: una fetta di torta ai mirtilli è proprio la benzina giusta per un intestino sottosopra mattutino; siamo costretti a tornare in hotel a scaricarci e, di conseguenza, a tardare la nostra partenza.
 "Dai che andiamo a RIMBAMBOVILL", decanta Luca, mentre è alla ricerca della confidenza che non avverrà mai con la lingua francese.


Sopraggiunti in paese, veniamo travolti da uno squisito profumo di caldarroste e ovviamente Luca mangia dei bretzel. Il paese è incantevole, beh non è molto lontano dall'estetica colmarese.
Capiamo, a quanto pare che c'è anche un piccolo castello sulla cima di una collina dispersa tra vasti prati di vigneti, tipici della zona.
William ci consiglia di bere una birra al Saint-Ulrich, che, grazie alle nostre vibrazioni fortunate, è pero' chiuso. Leggiamo l'insolito cartello vicino all'entrata, testimonianza di una birreria alquanto bizzarra. Luca non capisce una ceppa di minchia e mi chiede di tradurre, ci sono alcune parole pero', che non conosco e uso la scusa che non esiste una parola in italiano che puo' tradurla: così fa più intellettuale, no?



Beviamo del vin chaud, ma ci accorgiamo che è tardi. Dobbiamo andare, ma la mia vescica è in emergenza. Obbligo Luca a prendersi un caffè nel primo bar a disposizione, mentre uso il bagno. Quando esco lo vedo che se ne sta bevendo due, evidentemente incapace di ordinare un solo caffè. La cosa che più ci meraviglia è che spende quattro euro, quando in realtà un cartello informa che con un euro si puo' usare il bagno anche se non si consuma nulla. Dopo due caffè Luca sembra un paziente schizofrenico scappato dalla psichiatria, allora gli tiro un pugno alla Bud Spencer per scaricargli le batterie.















Ci avviamo a Requiwhir e scopriamo una magica cittadina di mille abitanti. Non è niente di diverso a confronto dell’ultima appena visitata, ma ai piedi dell’antico fossato ci sono delle strutture abitative medievali.
Luca assume il ruolo di guida storica non appena vede un ponte levatoio: mi spiega come l’avevano costruito e come lo usassero.
Mi allontano e lascio che continui a parlare con se stesso: si accorgerà da solo che sta dicendo cazzate e parlando al vuoto o le sue capacità finalizzate allo sviluppo intellettuale sono decedute?










Mentre torniamo a Colmar vediamo che le strade sono tagliate in mezzo ad infiniti vigneti ricoperti da una delicata a soffice brina. Vediamo anche la riproduzione della statua della Libertà, su di una rotonda poco fuori Colmar.



Abbandonata la magia di quel paesaggi, torniamo alla base chiedendoci dove avremmo mangiato.
Sono le sette e mezza e l’unico ristorante aperto ha un menù di capodanno da 95 euro a testa ed è al completo. Perlustriamo le piazze disabitate alla ricerca di vita umana, ma sembra tutto morto.
La nostra luce in fondo al tunnel è lui: Schwendi! Una graziosa brasserie nella Petite Venice, sembra essere al completo, ma il cartello informa che non accettano prenotazioni.
Entriamo e ci accoglie un signore di mezz’età che inizia a parlare tedesco, bo io non capisco un cazzo e nemmeno Luca (che è per metà tedesco), quindi cerca di comunicarci a gesti che tra mezz’ora si liberano due posti. Ottimo! Nel frattempo possiamo cercare qualcos’altro!
Trasciniamo la nostra quasi sfinita pazienza con noi, alla ricerca di valide alternative, quando d’un tratto sembriamo scorgere due giovani. E’ solo un’illusione o ci sono davvero due persone? E soprattutto giovani?
Chiediamo se sanno di qualche festa o qualche raduno che implichi persone vere che salutano l’anno appena passato sorridendo o almeno rimanendo svegli. “Oh ragazzi, ma veramente cercate una festa? Noi abbiamo scoperto solo ieri che tutti i giovani alsaziani vanno a Basilea a divertirsi.. e noi siamo venuti qui dalla Svizzera.”. Compatiamo i due tamarri svizzeri che ci invitano a raggiungerli più tardi nel locale latino. Sì, certo. Contateci.

Torniamo da Schwendi che, senza lunghe attese, ci fa accomodare in un tavolo vicino ad un metallaro 80enne francese e la sua donna apparentemente normale.
Prendiamo una tarte vegetarienne in due, un roesti strasbourgeois pour moi, crauti e salsicce per Luca.
Solo dopo qualche minuto mi accorgo che ha davvero ordinato ancora crauti e che quindi stanotte avrò bisogno di una maschera antigas bellica.



Mentre mangiamo, una coppia spagnola ci chiede di farle delle foto. Gli spagnoli prendono confidenza subito, infatti dopo due minuti ci chiedono se ci fossero eventi di capodanno. E’ la domanda che ci facciamo anche noi da qualche giorno ormai, e speravamo che qualcuno potesse aiutarci. Possono anche dirci che non si fa un cazzo, almeno ne siamo consapevoli.
Usciamo dalla brasserie rotolando senza aver finito interamente i nostri piatti, e facciamo affidamento a quella briciola di speranza ancora viva. Finalmente sentiamo delle urla e delle risate giovanili: sono un gruppo di ragazzi con sacchi di bottiglie che si avviano in un posto speriamo da loro da definire nel futuro più immediato.
Al contrario, sembra che la loro meta è ben chiara e mentre cerchiamo di non perderli, Luca si ferma a fare foto di merda (che poi cancellerà) a cartacce buttate a caso e maniglie di portoni. La bolgia umana si disperde nel nulla e ci semina, ponendo fine alla nostra ricerca di festeggiamenti e uccidendo in modo definitivo la speranza.



Mentre torniamo in hotel, ormai rassegnati, Luca scopre un nuovo giochino: alitarmi in faccia. Lo lascio fare, questo è il suo unico divertimento nella notte di capodanno, passata come due vecchietti (anche giovani) colmaresi.
Ad un tratto ci fulminano ragionamenti esistenziali su quella sera e iniziamo a porci delle domande filosofiche: “D’altronde che senso ha festeggiare il capodanno? Che senso ha divertirsi? Che senso ha la vita? Chi siamo? Cosa siamo? L'essere è e non puo' non essere”. Non troviamo delle risposte e questo ci convince che non è necessario festeggiare (…)
Sotto il nostro hotel c’è un club privé, da dove parte musica a manetta. C’è solo un oblò da dove si puo' vedere cosa c’è dentro e Luca testa di cazzo cosa fa?? Ci si affaccia! Quasi immediatamente, si apre la porta blindata e una signora esce e ci invita a farci i cazzi nostri. Luca scappa come un pischello appena sgamato a suonare i citofoni.
Alle dieci mettiamo su un documentario sulle tartarughe marine e ci addormentiamo all’istante.
Poco dopo mezzanotte veniamo svegliati da scadenti petardi uzbeki e scendiamo sulla strada a berci un bicchiere di spumante, per poi risalire dopo tre minuti e mezzo.




1 GENNAIO

Non ricordo di essermi mai svegliata alle otto del mattino il primo Gennaio, come stavolta.
E qual è il primo gesto dell'anno che fa una ragazza innamorata? Rendere felice Luca.. E la cosa che lo renderebbe felice è la Germania, dunque andiamo a Friburgo! (In realtà ho voluto accontentarlo solo perché così gli posso rinfacciare che quest'anno il primo gesto carino l'ho fatto io).
Partiamo con l'immortale C1 (la C in realtà sta per carro armato), ma prima dobbiamo cercare un benzinaio. Ne troviamo uno poco distante da Colbert, ma funziona solo con carta. "E se io non avessi un lavoro e lavorassi in serra pagato in nero, come cacchio faccio a fare benzina?", ribadisce Luca dopo aver sputato ed insultato il territorio francese.

Un altro benzinaio, a qualche chilometro di distanza (stiamo consumando più benzina a cercare il benzinaio), accetta solo carta. Rassegnato, Luca inserisce la sua carta e va completamente in panico quando nella schermata appare la scritta "autorizzato al rifornimento di 130 euro". Mentre organizza di tirar fuori bottiglie di plastica per riempirle di benzina, di prendere sacchetti a caso o di bercela, gli faccio notare che 130 euro è il massimo, e che avrebbe pagato solo i litri che avrebbe messo.
Cambia notevolmente colore della pelle, mi guarda con una faccia da montone e mi dice "Eh.. lo sapevo".

Oltrepassiamo la vecchia dogana, che si trova proprio sul Reno! Davvero incredibile! Appena entrati in Germania, Luca si sente a suo agio, tanto che i suoi rutti fanno da eco all'onnipresente "segnale gps interrotto".
In totale è un'ora di strada, passa veloce con i paesaggi innevati tutti da ammirare.
Parcheggiamo e capiamo subito che a Friburgo la gente si è accorta che ieri fosse capodanno: bottiglie di vino e birra buttate a caso sulle strade, resti di petardi e fuochi d'artificio sui marciapiedi, peni enormi disegnati sulle macchine, sotto una coperta di neve.
A tratti ricorda Berlino, dove siamo andati a Luglio, quartieri grandi e palazzoni da metropoli.
Qualsiasi negozio o ristorante è chiuso: abbiamo fame, ma oltre alla neve qui non c'è nulla. Perfino un cinese e un kebab sono chiusi!
Sconfitti decidiamo di farci un giro, e proprio mentre l'appetito ci bussa allo stomaco, scorgiamo una struttura ospitante la comunità araba.
Entriamo e la stanza è un ristorante strutturato come i kebab in Italia. Vorrei tentare anche io di parlare in tedesco, ma le uniche cose che mi ha insegnare a dire Luca sono chiedere dov'è il bagno (ma non lo chiedo perché non capirei la risposta) e scheisse, quindi dialogo a versi.
Mangiamo tanto quanto avevamo fame e raggiungiamo la sazietà con solo 10 euro, il tutto molto buono.
Orgogliosi di noi stessi per aver speso poco, Luca rovina la sensazione effimera andando da Starbucks a prendersi un cappuccino. Chi di voi se lo ricordava come un selvaggio che apre la birra coi denti?



Dopo aver appagato la sua nuova personalità da fighetto snob, andiamo in centro.
Non rimaniamo delusi dalla big cattedrale che occupa tutta la piazza, né da strutture stravaganti che la circondano.
Ci sono un ragazzo ed una ragazza immobili, che si avvicinano a passi talmente lenti da non essere visibili all'occhio umano.. sono ad una trentina di metri di distanza uno dall'altra e si fissano da lontano. Ma che cazzo stanno facendo? Sembrano due malati di mente! Ipotizziamo che stiano girando un video dove avrebbero velocizzato il tutto per far si che i passanti fossero delle scie che camminano tra di loro, ma loro continuano a guardarsi e si avvicinano anche in mezzo a tutti. L'idea è carina, peccato che ci siano tre motivi validi per ritenere questa loro trovata una stronzata: uno, troppo sbatti. Due, idea già vista e rivista. Tre, un vecchietto si è messo vicino alla ragazza per trenta minuti di fila, cercando forse di sistemarsi la dentiera quindi il romanticismo svanisce.

E' giunto il momento di salutare la Germania e Luca riesce a non piangere perché continua a divertirsi alitandomi in faccia. Non possiamo rimanere molto perché la macchina ha un solo faro funzionante, ma nonostante ciò, per colpa della mia incapacità a capire Google Maps, sbagliamo strada più volte e siamo costretti a tornare col buio. Già Luca fa pena a guidare, ma così sta esagerando. D'istinto cerco riparo stringendo la maniglia della portiera, mentre prego il mio uomo di non togliermi la vita.
Ma sembra fregarsene perché continua a guidare come una talpa ubriaca.






Appena rientrati in Francia, Luca si intristisce e aggredisce verbalmente la cultura francese.
A Colmar tutto tace, probabilmente non ci sono nemmeno cimici o zanzare d'estate. L'unica oasi di vita è Schewndi, allora torniamo da lui.
Stavolta prendiamo un roesti montagnard ed una tarte aux trois fromages in due.
Vorremmo passare da Murphy's, ma è stata una giornata pesante e domani dobbiamo tornare in patria.
Luca non fa altro che rompere i coglioni dicendo che domani dobbiamo mettere la sveglia alle sei perché LUI NON SI FIDA A GUIDARE COL BUIO.
Ok. Sveglia alle sei per non guidare col buio.

2 GENNAIO

Sveglia alle sei. Apriamo la finestra e com'è fuori? BUIO. Aspettiamo le sette. E' ANCORA BUIO. Luca deve morire all'istante, mi ha fatto svegliare alle sei nonostante gli avessi detto che fino alle otto era comunque buio. Ma un testone del genere non si può ammorbidire.
Torniamo dal francese arabo gay per l'ultima colazione colmarense e spediamo una cartolina al nonno di Luca in Germania. Il cielo inizia a schiarirsi alle otto e mezza, e decidiamo di partire.
La sosta prevista prima di raggiungere la Svizzera è Mulhouse.
Vi ci rechiamo in un'ora circa, ma questa cittadina fa veramente schifo. Non c'è niente di particolare, tranne qualche struttura che non eccelle in bellezza architettonica, messa a caso.
Luca ritorna ancora da Starbucks e questo lo rende ufficialmente la ragazza della coppia.
Non abbiamo voglia di trattenerci ancora, magari ci fermeremo in Svizzera o a Como.
Optiamo per Como, dunque oltrepassiamo le dogane svizzere senza che a nessuno fregasse di fare dei controlli.




A Como ci sono ancora i mercatini, belli per carità, ma abbiamo difficoltà a prendere fiato con tutta quella gente.
Mangiamo un panino e facciamo qualche foto al duomo e alla guardia di finanza, posta in un struttura tipicamente fascista, infatti era il loro punto di ritrovo.



Torniamo a casa stravolti, ma davvero felici di aver trascorso un capodanno ancora insieme.